La frattura del piatto tibiale coinvolge il ginocchio ed è una delle fratture intra-articolari più comuni e complesse che l’ortopedico si trova ad affrontare nella sua pratica clinica, rappresentando circa l'1% di tutte le fratture nei soggetti adulti.
Queste fratture hanno un’ampia varietà di presentazioni cliniche e sono frequentemente associate ad altre lesioni, come ad esempio quelle ai legamenti del ginocchio (legamento crociato anteriore, legamento crociato posteriore, legamento collaterale mediale, legamento collaterale laterale), lesione del tendine rotuleo o del muscolo quadricipite, lesione al menisco, altre fratture o complicanze a lungo termine.
La frattura può coinvolgere il piatto tibiale nella sua zona laterale, nella zona mediale o in entrambe. Le varie tipologie sono descritte dalla classificazione Schatzker.
Le fratture del piatto tibiale possono causare dolore al ginocchio, edema e possibile deformità, con limitazione dei movimenti dell’arto interessato e quindi conseguenze nello svolgimento delle normali attività quotidiane, sportive e lavorative.
È solitamente causata da traumi ad alta energia subiti ad esempio durante attività sportive o incidenti stradali e coinvolgono principalmente il sesso maschile. In alcuni casi anche traumi a bassa energia possono, però, causare tale lesione soprattutto nei soggetti di età più avanzata.
Sono spesso associate ad una prognosi sfavorevole a causa di alcuni fattori associati come lesioni della cartilagine, danni ai tessuti molli (muscoli, legamenti) o diverse complicazioni tra cui sindrome compartimentale, infezione post-operatoria, instabilità del ginocchio o rigidità e artrosi post-traumatica. Data tale complessità, possono anche comportare un sostanziale impatto negativo sulla qualità della vita del soggetto e sulla sua indipendenza funzionale. Inoltre, vi è un significativo impatto socioeconomico dovuto sia al tempo in cui il paziente è mancato dal lavoro, sia alla ridotta funzionalità del ginocchio.
Una diagnosi precoce e la scelta del trattamento più adeguato, sono necessarie per ridurre al minimo la disabilità del paziente, le complicanze e recuperare più velocemente il movimento e la stabilità dell’arto.
Epidemiologia
La frattura del piatto tibiale rappresenta l’1% di tutte le fratture e l’incidenza varia da 10,3 a 13,3 casi per 100.000 persone all’anno. Si riscontra maggiormente nei soggetti di sesso maschile e segue una distribuzione bimodale, con due picchi di coinvolgimento: un primo picco comprende i soggetti di età inferiore ai 50 anni che subiscono tale frattura a causa di traumi ad alta energia e un secondo picco che coinvolge, invece, i soggetti più anziani (di età superiore ai 70 anni) con una lesione dovuta a traumi anche di bassa energia.
Solitamente, nel primo caso sono soggetti di sesso maschile che subiscono un trauma a seguito di incidenti in auto o in moto oppure a causa di lesioni durante attività sportive, dato anche il loro maggior coinvolgimento in attività ad alto impatto fisico. Nel secondo caso, invece, il sesso maggiormente interessato è quello femminile probabilmente a causa della fragilità e della debolezza ossea che possono essere correlate alla crescente prevalenza di osteoporosi in tarda età nelle donne. Complessivamente, gli uomini subiscono più comunemente fratture del piatto tibiale rispetto alle donne.
Sia negli uomini che nelle donne, la frequenza più alta di fratture è tra i 40 e i 60 anni.
Eziologia
La frattura del piatto tibiale è causata, nella maggior parte dei casi, da un trauma ad elevata energia. Questo può avvenire in diverse situazioni, tra cui:
- Durante incidenti stradali in auto o in moto;
- A causa di cadute da altezze elevate;
- Durante lo svolgimento di sport (ad esempio sci, calcio, rugby, pallavolo, basket ecc.);
- Quando un pedone viene investito da un’auto (in quanto il paraurti della macchina entra in contatto diretto con la tibia prossimale, causando la frattura e lesioni dirette ai tessuti molli circostanti).
Mentre nei pazienti più giovani il trauma è solitamente di forte entità, nei soggetti più anziani si può verificare anche a causa di un trauma minore, come ad esempio una caduta da posizione eretta.
Classificazione
La frattura del piatto tibiale è stata suddivisa in sei tipologie da Schatzker e colleghi che, nel 1979, hanno pubblicato la loro esperienza durante la gestione di 94 casi di tale frattura. Questa classificazione è oggi validata e accettata a livello mondiale, è basata sull’entità della lesione e viene utilizzata per la valutazione di questa, per la pianificazione della gestione e per la previsione della prognosi.
I sei tipi di frattura sono così suddivisi:
- Tipo I: frattura del piatto tibiale laterale senza depressione (6% dei casi)
- Tipo II: frattura del piatto tibiale laterale con depressione (25% dei casi)
- Tipo III: frattura da compressione del piatto tibiale laterale o centrale (36% dei casi)
- Tipo IV: frattura del piatto tibiale mediale (10% dei casi)
- Tipo V: frattura del piatto tibiale bicondilare (3% dei casi)
- Tipo VI: frattura del piatto tibiale con discontinuità diafisaria (20% dei casi)
Caratteristiche e Sintomi
La frattura del piatto tibiale è una frattura complessa e presenta numerosi segni e sintomi che permettono di riconoscere tale lesione durante l’esame fisico. Generalmente il paziente lamenterà:
- Presenza di un trauma
- Dolore esacerbato con il movimento e la palpazione dell’area interessata
- Ematoma o livido
Allo stesso tempo il professionista potrà osservare nel paziente:
- Gonfiore
- Difficoltà a caricare sull’arto coinvolto
- Limitazione dei movimenti
- Possibile deformità
- Impotenza funzionale
- Alterazione della sensibilità se presenti lesioni vascolari o neurologiche
Un esame approfondito del ginocchio dovrebbe includere la valutazione delle strutture ossee, dei tessuti molli e dei legamenti per stabilire l’eventuale coinvolgimento di tali strutture.
Diagnosi differenziale
È estremamente importante individuare altre condizioni che potrebbero condividere con la frattura del piatto tibiale alcuni segni e sintomi. Al fine di effettuare una diagnosi precoce e gestire al meglio tale lesione, è necessario escludere tali patologie:
- Sindrome femoro-rotulea
- Frattura della rotula
- Frattura distale del femore
- Lesione al menisco
- Lesione del legamento crociato anteriore
- Frattura della tibia
Imaging
La valutazione delle fratture del piatto tibiale include l’esame fisico associato ad esami strumentali, utili anche ai fini della pianificazione chirurgica, qualora ve ne fosse la necessità. Tra le immagini strumentali utilizzate è possibile individuare:
- RX: è la prima indagine che viene effettuata per individuare la localizzazione e la tipologia della frattura. Spesso però tali lesioni possono essere complesse da individuare attraverso una semplice radiografia e viene dunque consigliata una TC.
- TC: la tac permette di ottenere informazioni più dettagliate sulla lesione. Anche la TC in 3D potrebbe essere molto utile al fine di visualizzare meglio la frattura ed evidenziare accuratamente l’anatomia del ginocchio, utile ai fini dell’intervento chirurgico.
- RMN: la risonanza magnetica permette di visualizzare più dettagliatamente la fattura del piatto tibiale e indagare la presenza di eventuali lesioni dei tessuti molli
Trattamento
Il trattamento della frattura del piatto tibiale dipende dalla sua tipologia: nella maggior parte dei casi è necessario un intervento chirurgico ma alcune volte potrebbe essere utile un trattamento di tipo conservativo. La decisione sulla tipologia di intervento da utilizzare è presa dal chirurgo ortopedico il quale, dopo un’accurata valutazione del caso, sceglierà quale tipo di trattamento è più opportuno.
Il trattamento conservativo viene solitamente suggerito se vi sono fratture stabili e composte: l'obiettivo principale è quello di alleviare il dolore e accelerare il processo di guarigione della frattura. Il trattamento di tipo non operatorio prevede l’immobilizzazione del ginocchio attraverso il gesso o un tutore per un periodo di tempo variabile (4 settimane minimo) al fine di favorire la consolidazione dell’osso.
Verranno svolte delle radiografie di controllo fino al momento in cui, avvenuta la consolidazione della frattura, verrà rimosso il gesso e verrà intrapreso un percorso di fisioterapia attraverso specifiche mobilizzazioni per il recupero del movimento e dell’articolarità ed esercizi per incrementare gradualmente il carico sull’arto coinvolto.
Inoltre tale tipo di trattamento è consigliato a persone anziane con scarse esigenze funzionali quando l’articolazione è stabile.
Per quanto riguarda l’operazione chirurgica, questa viene indicata in presenza di fratture esposte, fratture associate a lesione vascolare e fratture con instabilità articolare. All’occorrenza può accadere che, prima di procedere all’intervento chirurgico, il medico decida di mettere in trazione il ginocchio al fine di mantenere in sede i monconi ossei evitando possibili conseguenze negative.
La tipologia di intervento chirurgico dipende dal tipo di lesione presentata dal paziente, dalle informazioni ottenute dall’esame fisico e dalle tecniche di imaging. Le tipologie esistenti sono diverse (per esempio riduzione della frattura con fissazione interna con placche e viti oppure con un fissatore esterno) e la decisione spetta sempre al chirurgo ortopedico, che valuterà la tecnica più opportuna sulla base della lesione, sulle richieste del paziente e sulla salute generale.
A seguito dell’intervento chirurgico per la frattura del piatto tibiale sarà necessario un percorso di riabilitazione fisioterapica che verrà svolto al fine di raggiungere diversi obiettivi:
→ recuperare il pieno movimento dell’arto compromesso
→ recuperare la forza muscolare di tutto dell’arto inferiore
→ recuperare la propriocezione
→ recuperare la corretta funzionalità del ginocchio
→ migliorare lo svolgimento delle attività quotidiane
→ favorire il ritorno alle attività sportive e lavorative
Inoltre, possono essere identificate alcune complicazioni collegate alla frattura del piatto tibiale o all’operazione chirurgica tra cui: rigidità del ginocchio, infezione, mancata unione o errata consolidazione, lesioni neuro-vascolari o artrosi post-traumatica.
Effettuare una riabilitazione precoce a seguito dell’operazione può limitare le complicanze collegate, tra cui rigidità dell'articolazione del ginocchio, atrofia muscolare e ossea, aderenze e contrazioni della capsula. Infine, il ritorno allo sport a seguito di tale frattura, è in media di 6,9 mesi con un intervallo di tempo che varia da 2 a 18 mesi. La maggior parte dei soggetti torna all’attività sportiva ma molti pazienti non riescono a recuperare i livelli svolti prima della frattura.
MESSAGGIO
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