La fascite plantare è una problematica comune che interessa il piede ed è osservata nella popolazione generale e negli atleti. È causata da un sovraccarico ripetitivo sulla fascia che, con il tempo, porta ad una degenerazione della stessa, causando la sintomatologia caratteristica. Il sintomo principale lamentato dal paziente è il dolore al tallone. Il trattamento è di tipo conservativo caratterizzato da diverse modalità di intervento, utilizzate in combinazione tra di loro, che permettono al soggetto di tornare a svolgere tutte le attività precedentemente compromesse.
Anatomia
La fascia plantare è un'ampia struttura che si estende dal tubercolo mediale del calcagno, in cui la fascia è larga dai 12 ai 29 mm, alle cinque articolazioni metatarso-falangee fino alle falangi prossimali delle dita. È costituita da fibre di collagene prevalentemente orientate in senso longitudinale e formata da tre distinte componenti strutturali: una mediale, una centrale e una laterale. In particolare, quella centrale è la più grande e importante ed è composta da cinque bande, ognuna delle quali si divide poi in un tratto superficiale ed uno profondo, dove quest'ultimo si divide, ulteriormente, in un setto mediale e uno laterale.
Nelle persone più giovani, la fascia plantare è collegata al tendine d'Achille, con una connessione fasciale continua tra l'aspetto distale del tendine e l'origine della fascia al tubercolo calcaneare ma, con l'aumentare dell'età, il “collegamento” diminuisce fino ad arrivare al punto che negli anziani non vi è nessuna fibra di connessione.
La fascia plantare è anelastica, con un allungamento massimo del 4%, agendo da struttura di supporto dell'arco mediale longitudinale del piede e intervenendo nell'azione di ammortizzamento degli shock che si creano durante le attività in piedi. Questa funzione è supportata, inoltre, dal cuscinetto adiposo del calcagno, che consente un maggiore assorbimento degli urti. Dopo i 40 anni, quest’ultimo inizia ad atrofizzarsi, con perdita di acqua, collagene e tessuto elastico e con conseguente riduzione di spessore e altezza e quindi minor protezione del tallone.
La diminuzione dell'elasticità della fascia, collegata all’aumentare dell'età, è associata a una diminuzione delle capacità di assorbimento degli urti, che porta all'impossibilità della fascia di resistere ai normali carichi di tensione.
Epidemiologia
La fascite plantare è la causa più comune di dolore al tallone e colpisce fino al 10% della popolazione generale nel corso della vita, con un picco di incidenza nelle persone di età compresa tra 45 e 65 anni. Questa è presente, nella maggior parte dei casi, unilateralmente con un interessamento di entrambi i piedi solo in un terzo dei casi.
Nello specifico, le stime di prevalenza sono più elevate negli atleti e variano dall’8% al 22%. Tra gli sportivi, i runners sembrano essere quelli maggiormente a rischio di sviluppare tale condizione: la fascite plantare è, infatti, la terza patologia più diagnostica nei soggetti che praticano la corsa (dopo la periostite tibiale e la tendinopatia Achillea). Negli atleti ultra maratoneti questa ha un'incidenza di circa l'11%.
L’elevata incidenza della fascite plantare nei corridori è dovuta soprattutto alla biomeccanica della corsa: infatti, durante la fase di appoggio del tallone, questo deve assorbire un impatto doppio o triplo rispetto al peso corporeo totale del soggetto. La capacità di assorbire e trasmettere questo impatto, dipende dalla resistenza della fascia plantare, dal cuscinetto adiposo e dai muscoli intrinseci del piede. Con l'uso eccessivo, prolungato e ripetitivo, questa proprietà di assorbimento della fascia plantare e del cuscinetto adiposo potrebbe diminuire, portando allo sviluppo della fascite plantare.
Eziologia
La causa della fascite plantare non è ancora del tutto chiara e sono state formulate diverse ipotesi, ma la più comune sembra essere un uso eccessivo (overuse) dovuto ad un carico prolungato. Nello specifico, il sovraccarico ripetuto sulla fascia genera delle microlesioni che, nel tempo, portano ad una degenerazione di tale struttura. Stiamo parlando quindi di un processo degenerativo e non di un’infiammazione della fascia: per questo sembrerebbe più opportuno utilizzate il termine fasciopatia (o fasciosi) plantare per riferirsi a tale condizione piuttosto che il termine fascite che sottintende, invece, un processo infiammatorio.
Questo concetto è stato confermato anche da esami istopatologici che hanno dimostrato la presenza di degenerazione e di un ispessimento della fascia piuttosto che di cellule infiammatorie.
Fattori di rischio
Possiamo individuare alcuni fattori di rischio che potrebbero aumentare la possibilità di sviluppare la fascite plantare in alcuni soggetti. Questi possono essere fattori intrinseci (cioè associati a caratteristiche interne del soggetto) o fattori estrinseci (cioè caratteristiche dell’ambiente esterno che circonda il soggetto). Tra i principali troviamo:
- Piede piatto
- Età
- Sovrappeso
- Pronazione eccessiva del piede
- Rigidità dei muscoli del polpaccio (gastrocnemio e soleo) e dei flessori del ginocchio
- Rigidità del tendine d’Achille
- Debolezza dei muscoli intrinseci del piede e del polpaccio
- Limitazione della dorsiflessione della caviglia
- Sovraccarico
- Allenamenti o attività fisica errati (ad esempio, un aumento troppo rapido della distanza, dell'intensità, della durata o della frequenza delle attività)
- Calzature non adeguate
- Lesioni precedenti
Caratteristiche e Sintomi
La fascite plantare ha un’insorgenza graduale ed insidiosa ed è caratterizzata da alcuni segni e sintomi tipici, lamentati dal paziente durante la prima visita o osservati durante lo svolgimento della valutazione clinica.
Tra i principali troviamo:
- Dolore al tallone
- Rigidità del piede
- Dolore alla palpazione sul sito di origine della fascia plantare (zona del calcagno mediale)
- Possibili limitazioni significative nelle attività della vita quotidiana, lavorative e sportive
Il dolore è riferito come acuto e intenso, localizzato principalmente nella parte mediale del tallone (dove la fascia plantare si inserisce al calcagno). Generalmente, si manifesta ai primi passi dopo essersi alzati al mattino o dopo un periodo di riposo, può migliorare dopo la deambulazione di breve durata, ma si ripresenta quando vengono eseguite attività che implicano un carico prolungato, come stare in piedi, camminare o correre. Questo si attenua ma non scompare mai completamente nel corso della giornata e di solito peggiora la sera o con sport e attività ad alto impatto. Negli atleti il dolore può essere presente dopo un allenamento intenso: di solito si riduce con il riscaldamento e ricompare dopo aver terminato l’attività.
I pazienti spesso descrivono il dolore al tallone come bruciante, penetrante o come la sensazione di una “spina al tallone”, ma non presentano parestesie o irradiazione del dolore, escludendo così una componente nervosa. Potrebbe, inoltre, essere riportato un aumento dei sintomi durante una camminata a piedi nudi.
Nei casi più gravi di fascite plantare, il dolore può essere esacerbato dalla dorsiflessione passiva delle dita dei piedi e può essere presente gonfiore al tallone nelle condizioni croniche.
Diagnosi differenziale
La fascite plantare può condividere diversi segni e sintomi con altre patologie che è necessario conoscere e riconoscere per giungere rapidamente ad una diagnosi corretta ed intraprendere il percorso di riabilitazione più adeguato. Le condizioni principali sono:
- Tendinopatia Achillea
- Frattura del calcagno
- Frattura dell’astragalo
- Distorsione della caviglia
- Malattia di Sever
- Atrofia del cuscinetto adiposo del calcagno
- Tendinopatia del flessore lungo dell'alluce
- Sindrome del tunnel tarsale
Imaging
La diagnosi di fascite plantare è principalmente clinica ed è basata sulla storia del soggetto, sulle informazioni raccolte durante la valutazione e sull’esame obiettivo svolto durante la prima visita. Il supporto degli esami strumentali non risulta essere necessario in moltissimi casi, ma questi possono essere indicati in alcune situazioni: ad esempio, quando la diagnosi non è chiara o vi sono situazioni dubbie, quando il paziente continua a lamentare diversi sintomi nonostante un periodo di trattamento conservativo o quando si ha la necessità di escludere altre eventuali condizioni.
I principali esami strumentali utilizzati in queste circostanze sono:
- Radiografia: permette di individuare o escludere eventuali patologie ossee (come ad esempio una frattura da stress). Inoltre, permette di rilevare la presenza di speroni calcaneari (riscontrati in circa il 50% dei pazienti), anche se la loro presenza non è sempre associata ad una diagnosi di fascite plantare. Questi sono osservati all'origine del muscolo flessore breve delle dita e non nell'inserzione prossimale della fascia plantare.
- Ecografia: consente di escludere alcune cause di dolore al tallone e possono essere utili nel confermare la diagnosi in quanto permettono di stabilire lo spessore della fascia plantare o la presenza di lesioni. Infatti, nei pazienti con fascite plantare lo spessore della fascia risulta maggiore di 4-4,5 mm.
- Risonanza magnetica: utile per identificare altre lesioni dei tessuti molli (come tendini, legamenti, muscoli). Anche in questo caso è possibile osservare un ispessimento della fascia plantare, oltre ad eventuali altre lesioni, fratture da stress o difetti osteocondrali.
Trattamento
La fascite plantare è una condizione, almeno parzialmente, auto-limitante cioè con una risoluzione spontanea della sintomatologia entro un anno dall’insorgenza in molti pazienti. Diversi studi però riportano tassi molto elevati di miglioramento dei sintomi entro un periodo di tempo molto inferiore, se gestiti con un trattamento di tipo conservativo. Questo ha l’obiettivo di ridurre il dolore e permettere un ritorno alle normali attività quotidiane, sportive e lavorative, migliorando la qualità di vita generale.
Il trattamento è costituito da diverse modalità che devono essere utilizzate in combinazione tra loro per ottenere risultati migliori e più rapidi. Tra le principali:
- Educazione del paziente: in cui viene illustrata nel dettaglio la patologia, affrontando i principali meccanismi e i necessari tempi di recupero. È fondamentale che il professionista si soffermi sull’importanza di una partecipazione attiva e costante del paziente al percorso di riabilitazione. In questo contesto possono essere consigliate modiche delle attività svolte dal soggetto che vanno ad aggravare i sintomi sperimentati: ad esempio quelle che comportano un impatto ripetitivo, come la corsa, dovranno essere inizialmente evitate, ma i pazienti possono continuare a mantenersi in salute svolgendo altre attività, come ad esempio il nuoto. È indicato quindi un riposo relativo e non assoluto, lavorando gradualmente per permettere un recupero ottimale.
- Farmaci: ad esempio i FANS (Farmaci antinfiammatori non steroidei), se prescritti dal medico e se combinati con altre modalità di trattamento, possono aiutare a fornire sollievo dal dolore a breve termine.
- Ghiaccio: diversi impacchi di ghiaccio durante la giornata possono essere utilizzati per ridurre il dolore e il gonfiore associati.
- Plantari: utilizzati da molti pazienti, possono aiutare a ridurre il carico sulla fascia plantare durante le diverse attività. Questi sostengono l'arco mediale del piede senza esercitare alcuna pressione diretta sulla fascia plantare. Le ortesi possono fornire supporto dell'arco mediale scaricando la fascia e riducendo l’eccessiva pronazione del piede migliorando, di conseguenza, la sintomatologia.
- Fisioterapia: attraverso la terapia manuale (con specifiche mobilizzazioni, tecniche miofasciali e manipolazioni) e l’esercizio terapeutico, il fisioterapista permette di gestire i sintomi, migliorare la flessibilità, la forza muscolare, la rigidità, di recuperare eventuali deficit di mobilità della caviglia e di altre articolazioni prossimali (come il ginocchio e l’anca). Indispensabili in questo percorso sono gli esercizi da svolgere inizialmente con il fisioterapista e da riproporre poi in autonomia seguendo uno specifico programma realizzato appositamente sulle esigenze del paziente: questi aiutano a rinforzare la muscolatura del piede e quella circostante attraverso un’introduzione graduale dei carichi, a recuperare il completo movimento e funzionalità del piede, lavorando anche sulla propriocezione e l’equilibrio, per tornare a svolgere più velocemente possibile tutte le attività. Inoltre le onde d’urto sono utili per la gestione del dolore.Fondamentale è lo stretching per la muscolatura del polpaccio e per la fascia plantare da eseguire più volte al giorno.
- Taping: può essere utilizzato in alcuni soggetti per ridurre la sintomatologia nel breve termine.
- Infiltrazioni di cortisone: possono fornire sollievo dal dolore nel breve termine, ma è stato osservato in numerosi studi che iniezioni ripetute possono portare anche ad effetti collaterali, come rottura della fascia plantare e atrofia del cuscinetto adiposo.
- Infiltrazioni di PRP (plasma ricco di piastrine): è un'alternativa terapeutica per la fascite plantare che può aiutare nella gestione del dolore e della funzionalità.
Se i pazienti continuano a lamentare sintomi dopo diversi e numerosi interventi, o quando non hanno ottenuto miglioramenti dal trattamento conservativo dopo 6-12 mesi, potrebbe essere necessario rivolgersi a un chirurgo ortopedico per discutere di un eventuale trattamento chirurgico.
MESSAGGIO
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